IV Domenica di Pasqua

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Le parole dell’amore, col timbro della voce di Gesù, sono limpide. Arrivano dritte al cuore senza bisogno di espedienti. “Do la mia vita”, che cosa dire di più? Su una affermazione del genere non si può barare. La vita per la vita di qualcuno: dinanzi alla trasparenza di questo dono, alla sua purezza, tace tutto il resto. “Do la mia vita”, non ho altri argomenti.

Gesù lo ripeterà nelle ultime ore: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (Gv 15, 13). E già a coloro cha a più riprese gli avevano chiesto un “segno” della sua autorità o della sua credibilità (cfr. Gv 2, 18; 6, 30) Egli non aveva potuto far altro che rimandare al mistero – allora ancora insondabile – della Croce: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 50).

E’ il buon pastore. Gesù indugia a descriverne l’amore per le pecore con una tenerezza che non è tanto nelle parole in sé ma è quasi nella ripetizione dei gesti cui alludono e che possiamo immaginare: le ama senza compenso perché gli appartengono, sono cosa sua; quindi non le abbandona dinanzi al pericolo, perché gli importa di loro; le conosce ed è da loro conosciuto; le guida; dà la vita per loro. 

E poi con un movimento quasi naturale di espansione – che è proprio dell’amore – nel parlare di tutto ciò sente il bisogno di innalzare lo sguardo all’amore del Padre – che “lo conosce come lui lo conosce, e lo ama” – ed allargarlo ad altre pecore che provengono da altri recinti, e che intorno a Lui formeranno con te e con me un solo gregge.

Questo amore ha il gusto forte e autentico della vera libertà: questa vita infatti, dice, “nessuno me la toglie: io la do da me stesso”. Ed ha allo stesso tempo la freschezza inesauribile e sorgiva dell’onnipotenza divina: “Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo”. E’ un amore che viene donato in un atto di dolce obbedienza all’amore del Padre.

Pietro un giorno cercherà di imitare queste parole: “Darò la mia vita per te!” (Gv 13, 37). Ma non si renderà conto di quanto debole e privo di senso sia in quel momento il suo discorso. Questo amore infatti per essere vissuto va compreso, e per essere compreso va innanzitutto ricevuto e accolto. In tutta povertà.

 


Per meditare

Mi fermo a contemplare l’amore di Gesù per me o lo do per scontato? Che senso do alla sua Croce? Quali vie percorro, quali occasioni colgo per crescere nella conoscenza di Gesù e confermarmi nella mia comunione con Lui? Mi lascio amare con semplicità? Immergo il mio piccolo amore nel grande amore di Gesù così come Lui si immerge nell’amore del Padre?

 

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